Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane
10
Inge vendette quel che restava della fattoria, il terreno, i maiali, sotterrò suo marito senza troppe lacrime e se ne andò in città portandosi appresso quel figlio che l’aveva inconsapevolmente liberata dalla schiavitù. Si sentiva alleggerita nello spirito e per la prima volta nella sua vita la paura del futuro era stata soppiantata dalla sensazione inebriante di indipendenza. Poteva finalmente decidere del suo destino senza dover interpellare nessuno, poteva permettersi un vestito nuovo senza dover raccontare bugie sulla sua provenienza e sul prezzo. Lei aveva sempre avuto la responsabilità delle finanze in casa Meier, però toccava denaro che non le apparteneva e ogni spesa doveva essere discussa. Dio l’aveva liberata attraverso un tragico incidente dalla tirannia di suo marito e ora poteva finalmente decidere sul suo futuro.
La prima cosa che fece arrivata in città fu di entrare in chiesa per accendere due ceri alla Madonna. La Vergine aveva sicuramente intercesso per lei e per suo figlio. Si fermò prostrata davanti alla santa immagine mentre il suo bambino si interessava a tutt’altro. Venne attirato magneticamente da un manifesto che illustrava un organo e un uomo attempato in frac che, sorridente, guardava fisso negli occhi il ragazzo di cinque anni.
Paul sentì il cuore tamburellare forte nel suo petto. Pareva riconoscerlo, assomigliava al Gesù Cristo filiforme e sofferente conosciuto nella chiesetta del loro paese. Aveva lo stesso sguardo intenso, la stessa aurea di santità e la magrezza tipica dei buoni. Con la piccola mano accarezzò quel volto familiare e rimase in adorazione finché sua madre non lo raggiunse. Inge cercò di schiodarlo da quella posizione, ma il piccolo Paul in estasi si rifiutò di seguirla.
Allora raccolse da un banco un foglio informativo, lo diede a suo figlio e per riuscire a smuoverlo gli promise che l’avrebbe portato a seguire il concerto in chiesa quella domenica. Paul non finiva più di ringraziarla commosso da quella promessa.
Trovarono un piccolo appartamento di tre stanze a buon mercato nel quartiere degli artisti. Inge non si trovava a suo agio in quel guazzabuglio di studenti, stranieri, artisti che campavano alla bell’e meglio. Aveva però paura di scialacquare i loro beni e così si era ripromessa di restare fino a che un lavoro non le avesse dato la sicurezza di un guadagno mensile. La vecchia contadina provava spesso nostalgia per la campagna, per il silenzio e le bestie che avevano da sempre popolato i suoi giorni. Cercava negli annunci un’occupazione congeniale, ma nessuno cercava una donna che sapesse accudire i maiali, pulire la stalla, fare l’orto, cuocere marmellate e occuparsi della casa.
Finché l’ortolano Guglielmo le chiese di dargli una mano al sabato nel suo negozio in fondo alla via, poi ancora una mezza giornata alla settimana e alla fine ogni pomeriggio. Vivere di nuovo a stretta vicinanza con i prodotti della terra le fece riacquistare il suo bel colorito rosa alle guance. La sua profonda conoscenza delle verdure e dei frutti le apportò rispetto da parte del commerciante e così in poco tempo nel quartiere era conosciuta e apprezzata anche dai suoi clienti. Non aveva bisogno d’altro, se non di poter amare e essere ricambiata da quei prodotti della terra che lustrava, metteva in bella mostra, annusava e le cui virtù terapeutiche consigliava a malati di reumatismo, a insonni e deboli di stomaco. Nessuno poteva mettere in dubbio la parola di quella contadina rubiconda, piena di salute, saggia come la terra che l’aveva generata.
Paul restava a casa. Con l’orecchio attaccato alla radio ascoltava musica. Tutta la musica. Sinfonie, canzonette, opere liriche. Ammaliato da quell’apparecchio magico immagazzinava melodie, suoni, accordi che poi cantava creando suggestive melodie.
Finché arrivò quella domenica. La domenica del concerto d’organo nella cattedrale. Le panche erano assiepate di gente incappottata.
Numerose teste si voltavano impazienti verso l’organo. Inge e Paul si sedettero nell’ultima fila. Inge era alquanto intimidita poiché non aveva mai assistito a un concerto in vita sua e non sapeva bene come comportarsi. Ricevette un foglio con indicate le varie sonate che sarebbero state eseguite e i corrispettivi compositori e fece finta di leggere per darsi un contegno.
All’improvviso dalla volta piovve una cascata di suoni. Inge trasalì mentre Paul fu percorso da un tremito che lo fece vibrare da capo a piedi. E rimase inebriato, senza batter ciglio, con il fiato sospeso, mentre la melodia gli scaldava il cuore e gli imperlava la fronte di sudore. Sentiva il corpo rispondere a ogni nota, a ogni accordo e vibrare all’unisono con lo strumento celestiale. Percepiva la grandiosità di quel luogo di culto che rimandava al suo udito la melodia. Profondi respiri gli alzavano il petto, si sentiva teso come una corda e nel contempo rilassato come uno straccio. E si sentiva ingrandire, percepiva l’interno del suo corpo aumentare di volume e propagarsi all’esterno, fuoriuscire libero e volare su quella moltitudine che in silenzio sacrale ascoltava compunta l’esecuzione. Non aveva limiti, era parte dell’universo e il suo corpo era un involucro abbandonato nell’ultima fila di una cattedrale. Poteva spaziare all’infinito e percepire il respiro della terra e la musica del cielo.
Alla fine dell’esecuzione il pubblico scattò in piedi per applaudire l’organista, un maestro di grande fama. La sua esecuzione era stata perfetta e la sua musica aveva prodotto un grande effetto su quel pubblico di conoscitori.
Poi lentamente in un mormorio la chiesa si svuotò.
Inge si era inginocchiata davanti alla Madonna e si era raccolta in fervida preghiera.
Paul era rimasto seduto come inebetito. Era bagnato come se avesse compiuto uno sforzo inumano. Era estasiato. Si era alzato e con lentezza aveva raggiunto l’organo alle sue spalle. Il Maestro stava riponendo gli spartiti. Rimase impressionato da uno spettro allucinato, alto come un soldo di cacio che gli apparve dinanzi all’improvviso. Il bambino lo fissava con quei grandi occhi scuri che parevano inghiottirlo.
Inge chiese alla Madre Santissima di aiutarla nell’educazione di quel figlio così diverso da lei, così strano e così vulnerabile nel carattere e nel fisico.
Il Maestro a disagio allungò la mano per salutare Paul. Il bambino era gelato come un morto. Senza chiedere nulla il ragazzino si pose davanti all’organo e chiuse gli occhi. Trasse un profondo respiro e suonò a memoria l’ultimo brano eseguito dal Maestro. Rimase assorto e teso mentre le sue minuscole mani si impigliavano nei tasti, scorrevano veloci e si poggiavano con forza liberando la melodia dalle canne.
L’organista lo osservava con crescente interesse che si trasformò ben presto in ammirazione. Da quel corpo filiforme, così emaciato, scaturivano una forza e una sicurezza singolari. Il bambino prodigio sembrava essere stato partorito dalla musica stessa, scegliendo come possibili compagni di viaggio un organo celestiale e un Maestro attempato.
Le ultime note vibrarono sospese nell’etere e il ragazzino si acquietò. Lo sforzo aveva delineato un solco profondo fra le sue sopracciglia e sulla fronte candida. Durante l’esecuzione il volto si era trasformato e adesso pareva il volto corrucciato di un vecchio. Il petto si levava ansante alla ricerca di ossigeno, quasi che la musica gli avesse risucchiato tutte le forze. Lo sguardo pareva perso in un’altra dimensione.
Il Maestro si avvicinò. Gli pose una mano sulla spalla aguzza. Lo strinse forte. Paul si riebbe lentamente dallo stato di trance in cui era piombato.
Si voltò. E si guardarono. Seppero con precisione di essere accomunati dalla stessa grande passione, simili nel corpo gracile e sofferto, come nello spirito. Seppero che un destino comune li affratellava e malgrado la differenza di età ognuno avrebbe aiutato l’altro ad ampliare i propri orizzonti. L’amante invisibile alla quale avevano donato la vita con passione e dedizione li aveva fatti incontrare per sublimare sotto la sua egida la perfezione del suono.
La musica esigeva da loro il sacrificio. Dovevano immolarsi sul suo altare e in cambio avrebbero ricevuto il bene prezioso dell’arte come essenza di vita.
Un bimbo di cinque anni e un Maestro di quaranta si sorrisero con complicità.
S’apriva la parentesi comune della loro vita.
Nella navata riecheggiò la voce preoccupata di Inge che timidamente chiamava suo figlio sparito fra le canne mastodontiche dell’organo della cattedrale.
Le sembrò per un istante che il beato sorriso della Madonna fosse ancora più intenso. Allora le apparvero come due fantasmi un uomo attempato e magrissimo che stringeva nella sua mano quella esile di suo figlio Paul. Erano talmente uguali nel portamento, nell’andatura e nello sguardo da sembrare padre e figlio. Allora seppe con lucidità che la Madonna aveva esaudito le sue preghiere e che Paul aveva trovato in quell’uomo in frac il proprio angelo custode.
Non sarebbero stati più soli ad affrontare il futuro.
(segue: prossimi capitoli nel libro dal primo aprile 2021)
© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA
Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.