Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane
4
Paul era nato di mercoledì. Il mercoledì delle Ceneri.
Aveva capelli biondo cenere, sopracciglia biondo cenere, una carnagione cinerea e occhi scurissimi e vivaci che sembravano fra tutta quella cenere due carboni ardenti.
E siccome sua madre Inge, praticante cattolica, osservò il digiuno della quaresima fino al venerdì santo omettendo carne dalla sua dieta, il suo latte nutrì quel figlio senza trasmettergli le proprietà di questo alimento. Il neonato rifiutò di attaccarsi al seno quando la madre riprese la sua normale alimentazione fatta di insaccati, braciole, costine, zamponi. Deperiva col passare dei giorni finché a furia di tentativi trovarono una balia che non mangiava carne e che si occupò di sfamarlo.
Paul era di costituzione gracile. Il suo corpo ossuto, le lunghe dita affusolate, le gambe secche erano la testimonianza fisica della sua avversione alla carne, alle forme rubiconde e pasciute.
Non mangiò mai questo alimento poiché gli procurava una nausea improvvisa e un disgusto indomabili.
Questo fatto avrebbe potuto essere tollerato da chiunque, ma non di certo dal padre di Paul che possedeva un allevamento di suini ed era abituato a macellarli. Così come aveva fatto suo padre prima di lui e suo nonno ancor prima di suo padre. La gracilità di quel corpo, la mancanza di una muscolatura, la ripugnanza verso la carne furono le cause principali di un baratro affettivo fra le due generazioni e una mancanza di comunicativa che si trasformò ben presto in avversione aperta del padre verso il figlio.
Suo padre Hans era l’immagine della prestanza fisica. Malgrado la statura media possedeva gambe muscolose e scattanti, una corporatura taurina e una forza eccezionale che gli garantivano stima e ammirazione da parte degli altri allevatori. Svolgeva il suo lavoro con zelo e più di una volta i suoi maiali avevano vinto premi durante le feste e i mercati della regione. Gran bevitore di birra si concedeva il sabato sera una libera uscita con gli amici, che degenerava quasi sempre in una sbornia solenne, in gare a braccio di ferro e in palpate alle cameriere delle osterie.
All’inizio Hans aveva volutamente evitato quel gracile coso che era suo figlio. Se ne disinteressava preso com’era dal suo lavoro e lo lasciava alla madre. Inge dalla carne rosa, Inge dalla ciccia odorosa di suini, Inge dalla faccia paffuta di contadina felice e appagata, Inge aveva cercato di forzare suo figlio a mangiare i loro prodotti genuini. Ma dopo lo svezzamento aveva rinunciato a tale proposito, impressionata dai violenti conati di vomito di Paul alla vista del maiale cotto e profumato sulla tavola. Si era resa conto che l’avversione di suo figlio non era una questione puramente inventata e neppure un capriccio infantile facile da raggirare.
Ne aveva avuto chiara prova un sabato mattina che si era rinchiusa da sola in cucina per preparargli una pozione di verdure cotte, uova, formaggio, in cui aveva mescolato sapientemente della carne tritata. Così aveva imboccato la sua creatura come una circe ansiosa di trasformarlo in un maialino da latte, soffice e carnoso, simile ai bimbi che grugnivano felici nelle altre fattorie.
Bastarono poche cucchiaiate.
Il piccolo Paul disgustato fece una smorfia. Serrò le labbra come se volesse cementarle. Ebbe un sussulto che gli fece sollevare le gracili spalle. La fitta allo stomaco si arrampicò verso l’esofago. Stringeva con rabbia i denti mentre il conato di vomito raggiunse la gola. La nausea gli riempì la bocca di saliva acida.
Vomitò quei bocconi infernali. Alcuni attimi di pausa. E poi vomitò la fiducia riposta in sua madre. E vomitò il dolore della bestia ingoiata. E vomitò quella sostanza già aggredita dai succhi gastrici. La nausea si placava per brevi intervalli. Poi le contrazioni che gli attorcigliavano le budella ricominciavano e gli facevano uscire dalla bocca spalancata suoni gutturali e poltiglia disgustosa.
La flaccida Inge osservava impotente suo figlio. Quel dar di stomaco aveva oltrepassato i limiti di un malessere passeggero. Aveva l’impressione che Paul si sarebbe improvvisamente rivoltato come un cappotto che, afferrato per l’interno delle maniche e sbattuto un paio di volte, si rigiri mostrando la faccia della fodera. Così vide fuoriuscire dalla sua bocca l’esofago seguito dallo stomaco, dal fegato e dall’intestino che dallo strappo esercitato dal vomito avrebbero tirato con sé fuori dalla bocca il bacino, le gambe e i piedi e via via le si sarebbe rivelato l’interno del corpo di suo figlio, con lo scheletro, la poca carne, i muscoli, l’irrorazione sanguigna, le viscere e tutti gli organi interni, mentre la superficie della pelle e tutti gli attributi esterni del suo corpo sarebbero spariti all’interno.
Questa allucinazione la spaventò. Ricorse alle preghiere, al buon Dio, alla Vergine Santissima, al Santo Patrono, a tutti i martiri e ai suoi morti perché le risparmiassero quel fagottino che sulla tavola di cucina non smetteva di vomitare, di rannicchiarsi e di lamentarsi.
Sembrava che il diavolo in persona fosse penetrato attraverso quel boccone subdolo, insinuandosi nella sua anima per portarlo dritto all’inferno. Incapace di reagire Inge iniziò a recitare Mea Culpa, a sciorinare Vade retro Satana e a minacciare di buttarsi nelle fiamme del camino per sostituirsi col sacrificio al figlio e così risparmiarlo. Dopo aver afferrato il crocifisso appeso alla cappa del camino, iniziò a cospargersi di cenere. Dapprima soltanto il capo, poi tutto il corpo, in un rito inventato per calmare Satana e sé stessa.
Invece si calmò improvvisamente suo figlio.
La vista della cenere che volava e che ricopriva di un sottilissimo strato il tavolo interruppe il dolore fisico causato dal boccone di carne. Rimase perplesso con gli occhi spalancati e fissi su quella materia che si sbriciolava al tocco più lieve delle sue dita. Il contatto lo fece sprofondare in una tristezza improvvisa e senza apparenti ragioni.
Sua madre tirò un sospiro di sollievo e attribuì lo stato infelice del figlio alla spossatezza causata dalle convulsioni.
E siccome quello stato perdurò parecchi giorni ne dedusse che forse quella materia l’aveva colpito perché gli ricordava la sua nascita. Una nascita avvenuta di mercoledì. Quel mercoledì.
Il mercoledì delle Ceneri.
(segue: quinto capitolo, dal 28 febbraio 2021)
© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA
Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.