Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane
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Margherita Rosa Viola aveva abbandonato la sua infanzia e con essa la mania di mangiare terra e di fare oggetti in argilla. Il tempo scorreva lento e la sua vita passava tranquilla fra quell’età che si chiama fanciullezza e un’altra chiamata adolescenza. Il suo corpo subiva dei mutamenti, il suo viso si faceva più dolce e comparvero con suo grande stupore le prime perdite che le annunciarono di essere divenuta una donna. Al suo disgusto e disperazione erano riecheggiate le risa di sua madre Iris, che le aveva spiegato, in via sommaria, il significato di quel fiore di sangue.
E fu proprio quel giorno che accadde la disgrazia.
Ottavio stava imbucando la lettera di protesta ai suoi superiori concernente la nuova venuta. Non era uomo da non riuscire a essere conciliante verso chiunque e aveva tentato più volte di soprassedere all’arroganza e alla prepotenza di quest’ultima. Le aveva anche parlato amichevolmente per farle capire che i modi duri non sarebbero mai serviti a niente e che regnava un’armonia meravigliosa prima del suo arrivo. Non solo i suoi tentativi erano andati a vuoto, ma Ottavio era convinto che le piante avessero subito un tracollo malgrado le sue amorevoli cure. Le chiome rigogliose si erano avvizzite, i colori cangianti dei fiori erano divenuti opachi e l’atmosfera stessa della serra era mutata. Inoltre aveva scoperto da poche settimane che lei aveva avuto l’impudenza di rubare. Se ne era accorto gradualmente.
Da quel giorno che aveva dimenticato del fertilizzante alla serra. Era sparito. Aveva creduto di averlo perso anche se in vent’anni di servizio presso il giardino botanico non aveva mai perso nulla. Forse l’età che avanzava lentamente principiava a fargli degli scherzi e quindi aveva chiuso il caso con un sospiro di tenerezza rivolto a sé stesso e all’evidente incedere della vecchiaia. Però altre sparizioni successive lo avevano messo sul chi vive e dopo attente valutazioni aveva circoscritto il campo d’azione alla serra dei fiori esotici.
E lei era lì.
Non era mai corso buon sangue fra loro due. Fin dalla sua prima apparizione. Era stata affidata a Ottavio con una raccomandazione dell’ammiraglio in pensione che viveva nella vecchia villa sulla collina. La lettera d’accompagnamento datava il giorno della sua morte avvenuta in circostanze oscure, vuoi per infarto, vuoi per collasso, vuoi per malore. Lo trovarono abbandonato nella grande poltrona, con gli occhi sgranati e i capelli candidi e canuti ritti sulla testa. Sembrava spaventato a morte.
E lei era lì.
Il becchino cercò ripetutamente di chiudergli gli occhi e di pettinarlo, ma invano. Persino nella bara mantenne quell’espressione truce e la chioma irta non cedette alle cure, alla brillantina e alla spazzola. Per ovviare a questo inconveniente tagliò i capelli all’ammiraglio trapassato e gli mise un piegabaffi. Il giorno seguente i baffi tirati come due accenti verso l’alto appena liberati si afflosciarono come due povere virgole. E i capelli ricrebbero almeno due centimetri. Chiusero velocemente il coperchio della bara per evitare altre stramberie del vecchio lupo di mare e lo sotterrarono nel cimitero vestito della sua uniforme prestigiosa con accanto la bandiera, il suo vecchio timone e la bussola. Sul petto scintillavano le medaglie al valore.
Fra le sue carte rinvennero la lettera che raccomandava al giardino botanico della città la sua protetta rimasta ormai orfana. Così l’ultimo desiderio di un cittadino illustre, che aveva viaggiato in terre lontane, venne assecondato e lei fece l’ingresso nella serra custodita da Ottavio.
E adesso lei era lì.
E non aveva l’aria di volersi smuovere. L’alone di mistero e paura che circondava la sua particolare natura trovava conferma nel suo aspetto esotico, giacché era il primissimo e unico esemplare pervenuto a quelle latitudini dopo un lungo viaggio trascorso sulle ginocchia di un ammiraglio celibe e senza figli. Il quale l’aveva adorata come una creatura speciale e dopo averla vista la prima volta in Borneo, se ne invaghì e la prese sotto la sua protezione. Ma chi dei due dovesse proteggersi maggiormente dalle attenzioni dell’altro risultò l’ammiraglio che non riuscì più a liberarsene.
Della sua entrata spettacolare nel salone non rimangono testimoni.
Il vecchio cane che cercava di ottenerne le grazie morì quasi subito per un attacco di malattia tropicale sconosciuta. Il pappagallo venne ritrovato stecchito nella gabbia con il becco spalancato nell’atto di bestemmiare in spagnolo. La tartaruga gigantesca si rintanò nel suo guscio, morendo d’inedia. Gli uccelli nel giardino sparirono. Le piante dell’appartamento si rinsecchirono malgrado le innumerevoli cure della domestica che si licenziò per paura di fare la stessa fine. Come una matrona gigantesca e malefica rimase solo lei a troneggiare nel grande salone.
Il vecchio aveva tentato più volte di sbarazzarsene senza successo. Finché gli venne l’idea. Scrisse una lettera a sua insaputa. Ma non ebbe il tempo di contemplarla al giardino botanico perché morì il giorno stesso.
E lei invece è lì. Nella serra dei fiori esotici.
Ottavio stava imbucando la lettera di protesta ai suoi superiori. La bocca spalancata della buca delle lettere stava ingoiando la sua missiva. Un attimo di esitazione, un istante di titubanza per ricredersi e farsi risputare la busta già deglutita a metà.
Ottavio oggi non lavora.
Ottavio oggi deve riposare.
Ottavio oggi ha promesso a Margherita Rosa Viola di portarla in città per acquistare un vestito nuovo.
Prima però vuol disfarsi definitivamente di qualcuno senza ricorrere all’autorizzazione dei suoi diretti superiori. Non le farà del male, non le torcerà un capello, la metterà soltanto in condizioni di non poter più nuocere a nessuno. Una visita di pochi minuti. Fissa un appuntamento con sua figlia al giardino botanico per le tre del pomeriggio.
Lascia casa alle due e trenta minuti.
La mezz’ora di tempo intercorsa fra il bacio schioccato sulla fronte a Margherita Rosa Viola sull’uscio di casa e l’urlo di Margherita Rosa Viola sull’uscio della serra dei fiori esotici rimarrà per sempre un mistero.
Si sa soltanto che Ottavio era steso per terra con un fiore rosso sangue che si allargava sul petto. Nella mano stringeva una cesoia acuminata, tutt’intorno vi era terra rimossa, delle piote e una zappetta. L’espressione irrigidita del suo volto era un misto di stupore, trionfo e paura.
Anche lei giaceva a terra. Proprio al suo fianco. Il vaso in cocci, le radici allungate, i rami spezzati.
Lei era lì.
O per meglio dire, quel che rimaneva di lei era lì. Ciò che rimaneva di un’unica gigantesca pianta esotica. Una temibile pianta carnivora importata da un vecchio ammiraglio da terre lontane e finita prematuramente in una serra al fianco di un giardiniere ostile di nome Ottavio.
Le spire malefiche serravano dei pezzetti di carta maciullati. Sulla busta accartocciata per terra spiccava un francobollo e l’indirizzo dei responsabili del giardino botanico. Il contenuto di quella lettera era stato inghiottito dalla pianta carnivora ormai priva di vita.
I primi che accorsero alle urla disumane di Margherita Rosa Viola la trovarono con le mani e la faccia imbrattate di terra e di sangue.
Nascosta fra fiori esotici masticava lentamente le zolle odorose e nere, mentre il suo ciclo mestruale iniziato quello stesso mattino si era arrestato nell’istante in cui aveva scorto quel fiore rosso sangue, vivo e lucente sul petto di suo padre.
(segue: sesto capitolo, dal 7 marzo 2021)
© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA
Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.
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Pubblicazione il 1 aprile 2021.