Il nuovo romanzo la clownesse dell’Anno del Cane di Patrizia Barbuiani verrà presentato da Petruska Editions il 1° aprile 2021. Pubblichiamo qui, in anteprima, a puntate settimanali, i primi dieci capitoli. Il libro può essere acquistato da subito. Verrà inviato per posta il giorno della pubblicazione.



Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane



6

               
        Inge aveva allevato suo figlio Paul cedendo alla sua personalità insolita e permettendogli di vivere secondo i suoi gusti. Aveva smesso di preoccuparsi del suo aspetto gracile, della sua predilezione per le verdure e della poca espansività verso le persone. Introverso e un poco burbero avrebbe potuto passare per un beota, se i suoi occhi vivaci non avessero tradito la curiosità e l’intelligenza. Il corpo esile e scattante ricordava un gatto sulla difensiva. Inoltre possedeva innata una capacità straordinaria di leggere nel pensiero di sua madre e di prevenirne i desideri.
Inge se ne era accorta durante un’indisposizione che l’aveva costretta a letto per una settimana. Suo figlio si era rivelato un angelo, accudendola con amorevole premura e presentandosi con il vassoio ricolmo di ogni prelibatezza che lei aveva sognato. Quando desiderava alzarsi, prima ancora di formulare questa richiesta, trovava suo figlio che le porgeva le pantofole e la vestaglia per accompagnarla sulla veranda. Quando la luce le dava fastidio, prima ancora di lamentarsi ad alta voce, si trovava avvolta nell’oscurità perché Paul previdente aveva tirato i pesanti tendaggi. Questa singolare capacità del figlio l’aveva al principio spaventata come se fosse una stregoneria. Poi si era abituata e di tacita intesa avevano serbato per loro due quello strano segreto.

    Hans non si era rassegnato a vedere suo figlio sempre attaccato alle gonne di sua madre, così smunto e magro, senza nessuna propensione per i maiali e la fattoria, senza nessun attributo fisico che lo differenziasse da una femminuccia.
Decise da un giorno all’altro che se ne sarebbe occupato lui perché era giunto il momento di svezzarlo con una ferrea educazione.
Alle cinque di mattina lo svegliava a grugniti, lo trascinava nella stalla a occuparsi delle bestie, lo incaricava di lavori faticosi e pesanti convinto che si sarebbe sviluppato. Paul invece di fortificare la muscolatura deperiva a vista d’occhio, diventando sempre più pallido. Alle lamentele della moglie e alle sue insistenze per evitargli lavori pesanti Hans s’imbestialiva, prendeva per la collottola suo figlio e lo trascinava ad accatastare legna, ad arare i campi, a rifornire i maiali mai sazi. Finché un pomeriggio lo trovò esanime nel porcile.
Hans non poteva darsi per vinto, era in gioco la sua virilità, il suo potere, la sua credibilità agli occhi del mondo. Quel fagotto di quattro anni non gli opponeva nessuna resistenza, si lasciava picchiare senza lamentarsi e si sforzava di portare a termine i compiti imposti. Sembrava piuttosto la natura stessa del ragazzo a rivelarsi opposta alla sua.

    E allora gli venne il dubbio.

    S’insinuò a poco a poco nel suo cervello quel tarlo maligno che non lo lasciava dormire la notte, che lo obbligava a osservare di nascosto suo figlio per individuare almeno una caratteristica o un’affinità che confermasse che quel coso magro, insulso, effeminato fosse veramente suo figlio. Ma tutto di Paul gli negava la prova che quegli attributi discendessero in linea diretta dai suoi e che quindi potesse dichiararsi figlio legittimo di Hans Peter Meier, nipote di Otto Ludwig Meier e pronipote di Winfried Siegfried Wilhelm Meier.
Il mondo perfetto di Hans fatto di muscoli, di vittorie a braccio di ferro, di birra, di maiali, di mercati, di mani callose vacillò e venne messo in discussione da uno scipito essere biondo cenere. 

    La rabbia di Hans si riversò su Inge. La accusò di avergli mentito, di avere avuto una relazione extraconiugale dalla quale sarebbe nato Paul, l’insultò con i nomi più biechi e volgari, lasciandola costernata e piena di lividi sul pavimento della cucina. Paul accorso alle grida di sua madre era rimasto impietrito sulla soglia assistendo alla violenza di suo padre senza riuscire a muovere un dito. Suo padre compiva angherie sul corpo di sua madre e imprecava chiamandolo bastardo, figlio di una puttana e di chissà quale altro animale in calore. Paul sentiva dentro di sé un vulcano in eruzione, una tempesta di sdegno, un ciclone di rabbia che gli dilaniavano lo stomaco, le budella, il petto e la testa. Ma il corpo rimaneva immobile, assente e non reagiva allo stato convulso che gli percorreva l’anima. Disarmato e impotente aveva potuto soltanto girare i tacchi e rifugiarsi nel buio della credenza per acquietare i battiti del suo cuore in tumulto e per turarsi le orecchie, ebbro dei lamenti di sua madre.

    Quando la porta di casa vibrò, facendo tintinnare le stoviglie riposte nell’armadio, Paul seppe che suo padre era uscito. Rimase assente quattro giorni per farsi sbollire la rabbia ubriacandosi all’osteria e vagabondando per i dintorni. Paul raccolse ciò che era rimasto di sua madre dal pavimento della cucina, l’accomodò nel letto matrimoniale e le rimase accanto curandola amorevolmente con impacchi di ghiaccio. Inge vaneggiava stordita dalle botte e piangeva sommessamente sotto le coltri, digrignando i denti per il freddo e la paura. Quando si riebbe, riconobbe sé stessa e suo figlio che le sembrò ancora più minuto e più vecchio e decise di recarsi in chiesa per cercare almeno conforto nelle preghiere. Ancora barcollante e sorretta da un minuscolo uomo prese posto su una panca e malgrado i dolori s’inginocchiò, socchiuse gli occhi e sprofondò nelle orazioni. La chiesa era deserta poiché l’orario era insolito e nessuna funzione era programmata per il pomeriggio.
Paul rimase seduto a osservare gli affreschi, il crocifisso, l’altare, il tabernacolo. Era la prima volta che accompagnava la madre laddove gli era stata vietata l’entrata dal padre che aborriva la religiosità e non voleva rischiare di ritrovarsi in aggiunta a un figlio rachitico, anche un figlio prete. Aveva ostacolato persino il suo battesimo e soltanto la fede e la caparbietà avevano spinto Inge, in complotto con il prete, a fargli conferire il primo sacramento, chiamando a padrino il sagrestano muto. Paul era arrivato nascosto in una borsa vestito come una bambola e profumato come un giardino in primavera. Era rimasto tranquillo durante tutta la cerimonia con gli occhi sgranati verso la volta. Al momento dell’abluzione e della sua entrata nella santa madre Chiesa, la voce divina e tonante materializzatasi di punto in bianco l’aveva terrorizzato, mentre l’acqua battesimale gli aveva fatto accapponare la pelle, facendolo fremere da capo a piedi. Ritrovava anche se in misura minore la stessa sensazione ogni qual volta sua madre gli bagnava la testa durante il bagno domenicale. Dopo che l’acqua era scorsa sui suoi capelli, inumidendoli, sentiva un brivido freddo percorrergli tutta la schiena dalla nuca fino al coccige, mentre nella testa avvertiva una vertigine che gli ampliava le sensazioni e le percezioni del mondo esterno. Un millesimo di secondo e poi tutto tornava alla normalità.
Queste sensazioni rimaste impigliate nella memoria, vennero ravvivate nel rifugio sacro nel quale si erano rintanati per sfuggire alla vendetta di un contadino rozzo e violento di nome Hans.
Paul stava con le gambe ciondoloni su una panca di legno smunta.

    Stava assorto e in silenzio.

    Provava una pace incredibile in quel luogo forse perché conosceva l’avversione di suo padre per le religioni e i luoghi di culto. Almeno lì erano al sicuro dalla sua ira. Condivideva la decisione di sua madre di proteggersi entro quelle sante mura che non pretendevano da lui alcuno sforzo fisico, nessuna accettazione di carne di maiale, nessun obbligo, ma che gli lasciavano assaporare semplicemente il quieto vivere.
Osservò a lungo quel Cristo filiforme, sofferente, scarno con le costole in evidenza e si convinse che la bontà viveva sotto quelle spoglie mentre la cattiveria sotto la corporatura taurina di suo padre. E così suddivise il mondo fra buoni e cattivi, fra magri e robusti.
Mentre lavorava di fantasia, dalla navata piovvero dei suoni che gli fecero accapponare la pelle, gli entrarono nel sangue, gli esplosero nel cervello atterrendolo come un monito divino del quale non riusciva a dare una spiegazione. Cercò scampo sotto la panca mentre sua madre non si scompose di un millimetro.
Forse lei era abituata a udire la voce di Dio e a mettersi direttamente in contatto con lui. Paul rimase immobile, rannicchiato, senza fiatare, prevedendo il crollo del soffitto, lo schianto delle vetrate, la rovina del crocifisso e dell’altare. Teso nel cercare di afferrare la provenienza della voce celestiale osò guardare verso il fondo e vide un mostro luccicante dalle lunghe canne metalliche che si ergeva in tutta la sua magnificenza.
La voce divina sbottò incerta dopo i primi attacchi sicuri e s’inceppò spesso per poi riprendersi e ripetere il suo sermone. Il tono della sua voce era profondo, con alcune impennate acute e risuonava nel vuoto per infrangersi sulle pareti di pietra, disperdendosi in un’eco.
Come un sonnambulo Paul s’inerpicò per la scaletta a chiocciola fino a raggiungere quel sacro strumento che gli scioglieva l’anima. Un alunno della scuola superiore di musica da chiesa era indaffarato con gli spartiti per far quadrare a ogni segno tracciato sulla carta la nota indicata, il tempo voluto, l’intensità più appropriata. Il piccolo Paul con la bocca spalancata per lo stupore rimaneva discosto a osservare e soprattutto ad ascoltare ciò che scaturiva da quella macchina magica.
L’alunno faceva semplicemente degli esercizi per imparare le parti che avrebbe dovuto suonare la domenica successiva per accompagnare la liturgia in occasione di un matrimonio. Continuava a incepparsi a un passaggio e ormai stanco di ripetersi si concesse una pausa sul sagrato.
Così Paul si ritrovò solo davanti alla macchina che produceva la voce celestiale.
Così Paul attirato dai tasti, dai pedali, dai registri, dalle canne lucenti non riuscì a sottrarsi a quella tentazione.
Così Paul poggiò le minuscole dita sulla tastiera, i piccoli piedi sui pedali, trasse un profondo sospiro, socchiuse gli occhi e si lasciò andare.

    E fu il miracolo.

    Sua madre rimase con le labbra schiuse nell’atto di pregare. Padre Antonio rimase sbalordito con la bocca spalancata davanti al tabernacolo in procinto di posare il Santo Calice colmo di ostie. L’alunno della scuola superiore di musica irruppe in chiesa e rimase inchiodato dallo stupore vicino all’acquasantiera. Spalancò il portale affinché quel suono celestiale richiamasse i fedeli. Coloro che si trovavano sulla piazza per il solito chiacchiericcio pomeridiano rimasero colpiti dalla musica e si avviarono verso la chiesetta. La voce fece il giro del paese e il luogo di culto si empì in un batter d’occhio. La gente stipata ascoltava in beatitudine e in silenzio come mai prima era avvenuto.

    Quando la musica s’acquietò tutti si volsero verso l’organo e siccome non si intravedeva nessuno, cominciò a serpeggiare la parola miracolo. L’organo aveva suonato da solo. Dio per mezzo di quella musica solenne e maestosa era disceso fra loro e aveva scelto quella chiesetta di campagna per far udire la propria parola e rinfrancare la loro fede. Inge con le lacrime agli occhi s’inginocchiò, padre Antonio alzando il calice verso il cielo s’inginocchiò, l’alunno di musica s’inginocchiò e via via tutta la gente con un moto ondoso si prostrò dinanzi alla grazia divina. Quella moltitudine genuflessa con le mani giunte, in silenzio, udì allora uno scalpiccio. E dalla scala a chiocciola discese un angelo biondo cenere, filiforme, pallido con due carboni ardenti come occhi. Un angelo che non poteva avere più di quattro anni. L’angelo avanzò fra la moltitudine che si scostava esterrefatta per lasciargli il passo e si avvicinò a sua madre. Con naturalezza le prese la mano e la trascinò fuori da quelle mura prima che suo padre potesse rientrare a casa e scoprire la loro fuga. Un leggero vocio di sorpresa e d’ammirazione accompagnò la loro uscita trionfale dalla chiesa.
Da quel giorno la vita di quell’angelo biondo cenere non cambiò nella sostanza. Succube con sua madre dell’intransigenza di suo padre, continuò a subire nuove angherie. Ma qualcosa di grande gli permetteva di essere forte e felice. Perché quel pomeriggio qualcosa era accaduto. Qualcosa che andava oltre i confini della comprensione e si perdeva in emozione.

    Qualcosa come un sussulto.

    Qualcosa come un respiro amplificato.

    Qualcosa come una rivelazione. 

    Lei gli si era presentata in tutta la sua grandiosità e bellezza.
Lei lo aveva avviluppato in una dolce morsa per travolgerlo nella passione.
Lei gli aveva portato in dote l’armonia e la perfezione.
Ed era rimasta al suo fianco.
E lo sarà di nuovo.
Per sempre.
Con un giuramento solenne di fedeltà reciproca.

    Paul aveva scoperto la Musica e la Musica aveva scoperto Paul.

(segue: settimo capitolo, dal 14 marzo 2021)

© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA



Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.

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47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.

Pubblicazione il 1 aprile 2021.




Patrizia Barbuiani | CH-6900 Lugano | patrizia_at_barbuiani.com | +41794485387