Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane
7
Margherita Rosa Viola seguiva il feretro di suo padre come una sonnambula. Dopo la cerimonia funebre si avviarono verso il cimitero seguiti da parenti, amici e colleghi del giardino botanico. Iris, vestita a lutto, pareva una statua rigida trascinata da una forza sconosciuta perché ormai incapace di volontà. Ottavio non solo era stato il suo unico uomo, amico e amante, ma anche il tramite fra lei e sua figlia, come un polo positivo che riusciva a sdrammatizzare ogni piccolo problema. La sua scomparsa le creava un vuoto incolmabile, un’impossibilità nel comunicare con quella figlia scaturita dal loro primo amplesso nella serra dei fiori esotici.
L’unico suo desiderio era di essere lasciata sola a ricordare.
Non chiedeva altro.
Mentre la bara veniva calata nella fossa, non un lamento schiuse le labbra di Iris, mentre Margherita Rosa Viola ebbe l’impulso di gettarsi in quella buca umida e odorosa e scomparire per sempre con suo padre. Dopo la benedizione Iris gettò la prima manciata di terra, poi si girò e se ne andò fra la costernazione dei presenti che non le avevano ancora porto le loro più sentite condoglianze.
Margherita Rosa Viola lanciò a suo padre una margherita, una rosa e una viola suggellando con lui l’antico patto di alleanza e d’amore che li aveva uniti sulla terra e che li avrebbe sicuramente uniti anche nell’aldilà. Si accorse che il respiro le era rimasto impigliato nei tre fiori scintillanti gettati sulla bara. Divenne a poco a poco cianotica, i polmoni rifiutavano di empirsi d’aria e nessuno se ne accorgeva.
Se ne avvide il medico brizzolato che aveva constatato il decesso di suo padre e le affibbiò una sberla che ebbe il potere di scioglierla in rantoli e in lacrime.
Raccolse una manciata di terra nera e la gettò nella fossa mentre i rimasugli li serrò nel pugno chiuso, assaporando il momento in cui in solitudine li avrebbe leccati avidamente.
Così sorrise dolcemente e rimase ritta con le mani in tasca, mentre gli astanti le scivolavano innanzi mormorandole parole di conforto e cordoglio.
Dovettero prenderla sottobraccio e accompagnarla a casa perché lei era rimasta lì, inebetita, con un sorriso amabile sulle labbra e le mani sprofondate nelle tasche anche quando tutti erano spariti, la fossa riempita di terra e le corone disposte vicino alla lapide.
Quando richiuse la porta di casa e si avvolse nel tetro silenzio di quella dimora improvvisamente estranea, solo allora liberò la sua mano destra tuffandosi avidamente sui resti di terriccio appiccicati alla sua pelle.
Il sapore familiare le diede forza e consolazione, ma non bastò a placare quella fame insaziabile. Corse in giardino a grattare con unghie fameliche quanto i fiori e le piante di suo padre avvinghiavano sotto i loro arbusti. E scavò sotto il rododendro, scavò sotto le camelie, scavò sotto i bulbi dei tulipani, sotto i roseti e divorò la terra con voluttà, con ingordigia, sopperendo al vuoto e al dolore che le dilaniavano il petto.
Iris si era trincerata nella stanza da letto, aveva chiuso le persiane in faccia a un sole splendente, aveva iniziato a spalancare gli armadi e a togliere tutti i vestiti di Ottavio. Li controllava minuziosamente, cuciva i bottoni mancanti e rammendava i bordi troppo sdruciti.
Aveva iniziato con gli indumenti più intimi per risalire poi ai pigiami, alle calze, alle camicie, ai pantaloni, alle tute da lavoro.
Si accorse di quanto lavoro avesse ancora da sbrigare. Doveva occuparsi dei panni sporchi di suo marito che giacevano nella cesta della biancheria da lavare. Poi vi erano ancora degli indumenti profumati di bucato nella cesta della biancheria da stirare.
Vi erano da controllare i ricambi portati in solaio per la bella stagione e rinchiusi nel baule con le palline di naftalina.
Senza dimenticare il vestito blu della festa che stava allargando poiché Ottavio era ingrassato ultimamente.
E la sua testa era una girandola impazzita che senza sosta si organizzava fra il bucato, il cucito, le tute da lavoro, il vestito blu, la naftalina, le calze, il ferro da stiro, il solaio, il pigiama, le camicie, il detersivo, le forbici, il metro da sarta.
Si addormentò a tarda notte con il frac da sposo di Ottavio raccolto in grembo, l’ago infilato in un occhiello e il ditale nel dito medio, mentre sua figlia fuori nelle tenebre si contorceva dal dolore per le budella colme di terra.
(segue: ottavo capitolo, dal 21 marzo 2021)
© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA
Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.
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Pubblicazione il 1 aprile 2021.