Dal romanzo la clownesse dell’Anno del Cane
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Iris in lutto proclamò a conoscenti e parenti la sua partenza con la figlia per un luogo e un periodo imprecisati. Invece fece una scorta enorme di viveri, sprangò le imposte di casa, sbarrò la porta d’entrata e consumò i giorni in questa prigione coatta. Si rinchiuse nella stanza continuando come una Penelope a rammendare per poi scucire, ad attaccare bottoni per poi cambiarli, ad allargare i vestiti di Ottavio per poi restringerli. Si teneva occupate tenacemente le mani per non dover pensare.
Rassettava per illudersi che Ottavio sarebbe tornato come un Ulisse alla sua Itaca e di colpo tutto sarebbe rientrato nella normalità e quieto vivere di sempre.
Quando si stancò di aspettare il ritorno del suo eroe decise di ricrearlo nella sua immaginazione.
Iris iniziò allora a dialogare ad alta voce con il fantasma di Ottavio, a interpellarlo per qualsiasi decisione, a preparare per lui il posto a tavola, a servirgli le pietanze che lui aveva tanto amato quando era in vita.
Insomma non si rassegnò.
Mentre aveva dimenticato completamente di avere una figlia che si aggirava per casa con occhi stralunati e la bocca imbrattata di terra. Il giardino meraviglioso accudito da Ottavio era diventato un campo pieno di buche. I fiori e le piante erano morti perché non trovavano più sostegno e sostentamento nella materia rubata avidamente da Margherita Rosa Viola durante la notte. Viveva con la mente annebbiata dal dolore che riusciva a calmare soltanto con l’ingestione del suo cibo preferito. La ragazzina orfana a dodici anni e la vedova di un giardiniere sembravano ormai instradate sulla via della pazzia. Ognuna annegava nel proprio dolore ritenendolo inconsolabile e cercava espedienti per alleviare la sofferenza. Vivevano nella stessa casa, possedevano una cucina in comune, una sala in comune, un bagno in comune, ma non s’incontravano mai. Margherita Rosa Viola era irriconoscibile. Mangiava disordinatamente per potersi ingozzare di terra. Viveva con continui dolori di pancia per i quali si riprometteva di smettere con l’ingurgitare a poco a poco l’intero giardino. Ma poi ricadeva nella malinconia e dopo alcuni giorni di astinenza si rituffava con avidità nel terriccio.
Passò un mese. I mesi divennero due.
Iris parlava a voce alta con lo spirito del marito, ne rassettava gli indumenti e le tute da lavoro, lustrava con forza gli attrezzi da giardino che brillavano come nuovi, spolverava ogni settimana i volumi sulle piante e i fiori.
Margherita Rosa Viola si aggirava per la casa dalle imposte serrate riuscendo ormai a orientarsi senza difficoltà al buio. Assomigliava sempre di più a una talpa, con le unghie lunghe sporche di terra, gli occhi piccoli e socchiusi, il naso camuso e gonfio che a furia di strofinarlo nelle buche era diventato color terra.
Così vissero fino al giorno in cui trasalirono ambedue spaventate da uno scampanellio lungo e ripetuto. Rimasero con il fiato sospeso, immobili, l’udito teso a percepire il più piccolo movimento. Si assottigliarono contro i muri per evitare il minimo sospetto che tradisse la loro presenza in casa. Dopo due mesi di clausura, senza più contatti con il mondo, vennero richiamate alla vita da un oggetto incartato lasciato sulla soglia di casa. Così per magia apparve la loro salvatrice, piombata dal cielo per recuperare la loro normalità persasi fra cassetti, buche, rastrelli, terra, tute da lavoro, naftalina. Spinte dalla curiosità si ritrovarono a origliare alla porta d’entrata. A stento si riconobbero. Il dolore le aveva segnate, stracci vecchi e sudici avvolgevano due figure sciatte, le chiome disordinate incorniciavano due visi abbruttiti, la luce nelle pupille era spenta.
Perplesse, lo sguardo perso nello specchio della propria solitudine, con la bocca aperta si squadrarono per un lungo interminabile attimo.
Finché si scrollarono di dosso l’immobilismo, lo sguardo inebetito e senza scomporsi aprirono con cautela la porta d’ingresso. Accecate dalla luce pomeridiana, dovettero chiudere gli occhi e a tastoni fecero accomodare l’intrusa. Sulla carta d’imballaggio spiccava il nome del negozio più rinomato in articoli floreali e un biglietto.
Iris riconobbe la grafia fitta di Ottavio.
Un dolore lancinante le trafisse il petto. La realtà bucò la nebbia che le avvolgeva la mente. Aprì con mani tremanti la busta che riportava il suo nome. Lesse e d’improvviso capì. L’inchiostro annacquato da alcune lacrime le ricordava che quel giorno ricadeva l’anniversario del loro matrimonio. Ottavio con solerzia, per non dimenticare la data, aveva comandato in anticipo il regalo per lei. Quel regalo.
Sotto la carta apparve una yucca di media grandezza, dalle foglie rilucenti verde bottiglia. La terra che la sorreggeva in un vaso di terracotta era nera e profumata. Margherita Rosa Viola dovette deglutire. La pianta non profumava eppure emanava un fluido invisibile di vitalità, forza e armonia.
Le due donne le rimasero accanto con aria interrogativa finché sopravvennero tenerezza e gioia per quel dono inaspettato. Poterono finalmente riversare il loro amore, un tempo destinato a Ottavio, sulla pianta che irradiava le stanze con la sua bellezza e il suo magnetismo.
Da quel momento l’accudirono con amore, le lucidarono le foglie che crescevano a dismisura, le diedero tanta luce, acqua e fertilizzanti, finché ritornarono alla vita di un tempo. Vennero riaperte le imposte, scomparve il fantasma di Ottavio, i suoi oggetti personali vennero rinchiusi in un baule e dimenticati. Il giardino rifiorì grazie alle premure di Iris e di Margherita Rosa Viola, guarita dalla sindrome della terra.
La vicinanza fece fiorire in simbiosi le tre creature.
La pianta crebbe ubriacata dalle attenzioni e dalle amorevoli cure delle due donne.
Margherita Rosa Viola sbocciò come un fiore procace che inondando l’aria con il suo profumo primaverile faceva volgere i passanti.
Iris rifiorì e la sua pelle avvizzita si tinse di porpora, riprendendo consistenza come una pesca matura.
Una pianta aveva tolto al loro affetto Ottavio, gettandole nella disperazione più cupa. Ora un’altra pianta aveva ridato loro la speranza e la gioia di vivere.
Così il ricordo di una truce pianta carnivora venne soppiantato dalla presenza di una dolce yucca, denominata più comunemente e a ragion veduta, pianta della felicità.
(segue: decimo capitolo, dal primo aprile 2021)
© Patrizia Barbuiani / PRO LITTERIS / Associazione artistica PETRUSKA
Edizione a tiratura limitata.
Tutti gli esemplari della prima edizione saranno firmati dall’autrice.
Vuoi assicurarti il libro?
47 capitoli, 296 pagine, illustrazioni e inserti manuali.
Pubblicazione il 1 aprile 2021.
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Pubblicazione il 1 aprile 2021.